Psicologia dello Sviluppo

Scritto da Sara Bianchi

JEAN PIAGET (Svizzera 1896-1980)

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Jean Piaget

Jean Piaget considera l’intelligenza la forma più alta di adattamento dell’uomo all’ambiente e la ritiene il risultato della singolare interazione tra l’organismo e l’ambiente. Così si è dedicato pienamente ad individuare come si sviluppa l’intelligenza analizzando soprattutto la sfera genetico-biologica ed introducendo il concetto di epistemologia genetica che analizza come si sviluppa la conoscenza. Piaget ritiene che la conoscenza è un processo soggettivo attivato dall’individuo che si modifica in base allo sviluppo dei suoi schemi mentali che sono un insieme organizzato di comportamenti che riflettono il modo dell’individuo di relazionarsi con l’ambiente in un determinato momento e che possono essere generalizzati a più situazioni. Perciò certe conoscenze possono essere acquisite solo se gli schemi mentali che l’individuo possiede sono strutturati per comprenderle. Piaget individuò due meccanismi di adattamento all’ambiente che sono l’assimilazione in cui i dati dell’esperienza vengono assimilati negli schemi mentali già esistenti e l’accomodamento in cui gli schemi mentali che si possiedono vengono modificati per adattarsi alla nuova esperienza/conoscenza. Oltre ad essi ha individuato gli schemi riflessi che sono delle risposte di comportamento innate che il bambino possiede alla nascita come il succhiare, l’afferrare direzionare lo sguardo etc.. e la presenza nel pensiero infantile di egocentrismo, animismo, realismo, artificialismo e finalismo. Piaget delineò una teoria stadiale nella quale ha suddiviso lo sviluppo cognitivo in 4 stadi in cui le strutture mentali del bambino subiscono un’evoluzione: periodo senso-motorio dalla nascita ai 2 anni in cui il bambino è fuso con il mondo e impara a coordinare i suoi movimenti; periodo pre-operatorio dai 2 ai 7 anni in cui il bambino si distingue dal mondo ma ha ancora un pensiero egocentrico, anche se sviluppa il pensiero simbolico ed i linguaggio; periodo operatorio dai 7 agli 11 anni in cui il bambino supera l’egocentrismo e riesce a fare operazioni mentali ovvero a ragionare sulle cose concrete e presenti; periodo ipotetico-deduttivo dagli 11 ai 14 anni in cui il ragazzo riesce a fare ipotesi e ad usare un pensiero astratto di tipo adulto. Gli stadi seguono una sequenza stabilita perciò non si può saltare uno stadio né regredire perché ogni stadio è l’evoluzione di quello precedente; gli stadi sono universali ma possono variare solo i tempi di conseguimento.

L’EDUCATORE: L’educatore conosce il periodo stadiale a cui il soggetto fa riferimento e perciò non fa richieste a cui non può ancora rispondere mettendolo in difficoltà ma dovrà rispettare i tempi di ognuno che possono essere diversi. L’educatore durante le sue attività dovrà aver sempre presente certe caratteristiche del pensiero infantile e del ragazzo per riuscire meglio a comprendere certi comportamenti.

IN SINTESI: L’educazione deve fornire i giusti stimoli che vadano ad alimentare lo stadio pre-esistente in modo da raggiungere lo stadio successivo in possesso di tutte quelle conoscenze necessarie per la sua evoluzione cognitiva. L’educazione deve tener conto dei periodi di sviluppo cognitivo in ogni suo intervento ma anche dei momenti di passaggio dei vari stadi dove l’andamento del soggetto sarà discontinuo perché talvolta andrà avanti e talvolta regredirà e ciò non deve essere fatto pesare in quanto questo è indice della sua naturale evoluzione.

LEV S.VYGOTSKIJ (Russia 1896-1934)

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Lev S.Vygotskij

Lev Semënovič Vygotskij si focalizza sugli effetti che il contesto sociale e culturale ha sullo sviluppo psichico. Dalle sue ricerche emerge che i processi psichici superiori come la memoria, il pensiero, il linguaggio e più in generale l’apprendimento sono strettamente dipendenti dai fattori storico-culturali in cui cresce il bambino e dalle relazioni sociali che ha con gli altri. L’’individuo apprende gli elementi e i valori della propria cultura tramite un processo di interiorizzazione dei suoi significati che avviene tramite l’uso di mediatori simbolici primi tra tutti il linguaggio, ma anche il calcolo, la scrittura, il disegno, etc.. che gli provengono dal contesto e dalle relazioni. L’origine di essi è sociale ma grazie all’interazione con l’ambiente vengono acquisiti dal soggetto che li utilizza interiormente per organizzare il proprio pensiero e direzionare il proprio comportamento. Vygotskij ritiene che la mente utilizza anche degli strumenti esterni che gli consentono di andare oltre il proprio patrimonio biologico, gli stimoli-mezzo ovvero gli oggetti che ogni giorno usiamo, che creano sistemi cognitivi dipendenti da lui chiamati artefatti-cognitivi perchè consentono di sviluppare e modellare certe aree della psiche tramite il loro utilizzo. Inoltre ha individuato l’area di sviluppo prossimale che è una margine tra le capacità di sviluppo che il bambino riesce ad attuare da solo e quelle che potrebbe attivare se sostenuto e orientato da un’altra persona più competente; quindi è uno sviluppo potenziale che fa superare i limiti del biologico grazie alla relazione/interazione sociale. L’adulto dovrà cercare di adattare l’aiuto alla risposta del bambino e se dopo l’intervento di sostegno il bambino riesce a svolgere il compito da solo significa che quella competenza è stata interiorizzata e quindi acquisita. Il bambino è pertanto un attivo costruttore del proprio mondo interiore e delle proprie conoscenze.

L’EDUCATORE: L’educatore deve essere cosciente dell’importanza che il contesto e le relazioni hanno sullo sviluppo del bambino e perciò deve fare in modo che il contesto in cui opera sia sereno e che la relazione con e tra ogni bambino sia sempre positiva. L’educatore deve tener conto del concetto di area di sviluppo prossimale e quindi essere un sostegno nell’acquisizione di nuove conoscenze ed una volta interiorizzate deve lasciare che il bambino le applichi da solo in modo che si verifichi una maturazione cognitiva.

IN SINTESI: L’educazione ha un ruolo importante nel far interiorizzare i sistemi simbolici al bambino sia per il suo sviluppo psichico che per trasmettere la cultura e le conoscenze ad essa connesse. L’educazione deve creare contesti e fornire quegli stimoli-mezzo utili allo sviluppo psicologico del bambino e tenere sempre presente quali sono i limiti cognitivi dentro cui si deve muovere l’insegnamento e l’apprendimento.

JOHN BOWLBY (Inghilterra 1907/1990)

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John Bowlby

John Bowlby si è focalizzato sui fattori affettivi ed emotivi dello sviluppo ed ha formulato la teoria dell’attaccamento in cui evidenzia l’importanza dei primi legami affettivi per l’acquisizione della competenza sociale e per l’adattamento all’ambiente. Dalle sue ricerche è emerso che sia il bambino che i genitori sono predisposti geneticamente ad attuare un legame di attaccamento inteso come il legame profondo che lega due persone che si manifesta con comportamenti di attaccamento come il sorridere, l’avvicinarsi, il toccare, il piangere e il guardare. La figura di attaccamento, la madre o chi si prende cura del bambino, sarà la base sicura nell’esplorazione dell’ambiente fisico e sociale dalla quale il bambino può tornare nel caso percepisca la nuova situazione come pericolosa. Non sempre questo legame si può verificare e l’attaccamento può essere vissuto in modo negativo e questo si può ripercuotere sullo sviluppo della personalità e influenzare i propri rapporti sociali. In particolare il tipo di attaccamento che viene instaurato nella relazione madre-bambino nel primo anno del bambino farà da modello alle relazioni affettive future e ne influenza il comportamento sociale. Perciò un attaccamento sicuro permetterà di rapportarsi serenamente con gli altri e di cooperare con loro, un soggetto con attaccamento evitante sarà più timoroso nelle relazioni con scarsa fiducia negli altri e tenderà all’isolamento, un attaccamento ansioso/ambivalente porterà ad instabilità emotiva, ad interpretare in maniera distorta il comportamento degli altri e questo disturberà le sue relazioni. Bowlby ha individuato 5 fasi nell’attaccamento: 0-3 mesi pre-attaccamento in cui il bambino discrimina solo la madre; 3-6 mesi attaccamento in formazione e paura dell’estraneo, 7-8 mesi angoscia per il distacco, 8-24 mesi attaccamento vero e proprio, dai 3 anni formazione di legami affettivi.

L’EDUCATORE: L’educatore deve tener presente che il soggetto può avere avuto delle esperienze affettive anche negative e che ciò può ripercuotersi sui suoi comportamenti ma in forza della loro relazione che deve essere basata sulla fiducia, deve aiutarlo a capire quando questi sono inadeguati. L’educatore deve essere consapevole di divenire per il soggetto una figura di attaccamento perciò tutti i suoi comportamenti ed i suoi giudizi sono importanti per lui, quindi dovrà cercare di motivare ciò che dice e fa nei confronti del soggetto.

IN SINTESI: L’educazione deve aver chiaro che i vissuti affettivi dei soggetti possono essere estremamente diversi e perciò deve operare in un clima di affettività e fiducia che possa così farlo sperimentare a quei soggetti che non lo hanno vissuto o che lo hanno vissuto in modo distorto e confermare questo atteggiamento a coloro che lo hanno vissuto.

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